Si dice “porre attenzione”, ”fare attenzione”, “avere delle attenzioni” per dare conto di una specifica e particolare cura al fine di evitare danni a se stessi, agli altri, alle cose e all’ambiente, ad evitare ma anche a riparare danni.
La parola porta con sé vigilianza e presenza ai fini della tempestività di un intervento d’aiuto laddove necessario portando con sé una declinazione di “tensione per e a …” farsi eventualmente carico di chi o di cosa possa avere necessità di essere sostenuto, aiutato, riparato, curato.
Ricordo che l’attedente era colui che attedeva, appunto, a compiti di aiuto e di assistenza a qualcuno che di fatto, seppur superiore, era dipendente dal suo operare; quindi chi attende (un genitore, un educatore, un infermiere, un terapeuta) a qualcuno lavora intorno alla dipedenza più o meno temporanea sollevando il soggetto interessato all’intervento dal disagio e più volte dalla sofferenza.
Chissà se chi è chiamato a curare, nelle sue diverse forme, riesce con costanza ad essere un attendente che sa che può essere chiamato in un momento anche imprecisato a soccorso di chi chiama.
Quante volte chiamano i malati di notte? I bambini che si sono fatti male? Essere attenti è rispondere a una chiamata.
E su questa premurosa presenza non ingombrante, non invadente, è su questo essere “accanto a e per qualcuno” che si sofferma, da diversi punti di vista e ancora una volta in modo esplicito, il numero che avete ricevuto.
Buona lettura
Francesco Caggio